martedì 18 ottobre 2011

“Agisci in modo da trattare l’umanità, sia nella tua persona che in quella di ogni altra, sempre come fine e mai come mezzo”.

Questo scriveva Kant sul finire del secolo XVIII, aprendo le porte per la prima volta ad un archetipo di pensiero “GLOBALIZZANTE”, un principio laico capace di mettere in comune i destini di tutta l’umanità.

Il mercato globalizzato fa’ sì che siamo circondati da prodotti e merci che provengono da parti disparate del mondo, attraverso sistemi di produzione i più diversi possibile, trasportati sui nostri mercati con sistemi invece piuttosto unificati. La motivazione che spinge tale merce ad essere disponibile al nostro acquisto è sempre di tipo prettamente commerciale, ovvero è determinata dalla sua facile reperibilità e dal costo più basso che fa vincere il confronto rispetto a prodotti meno competitivi. In ottica di grande distribuzione quindi il rapporto qualità/prezzo è fortemente sbilanciato verso quest’ultimo, relegando la qualità ad un livello minimo percepibile.
Discorso diametralmente opposto per i prodotti di alto livello, il cui pregio principale è la loro scarsa reperibilità, ed il costo assume una barriera d’accesso che permette solo a pochi di entrarne in possesso, determinando la condizione di “status symbol”, che implica dinamiche di acquisto completamente diverse.
Le merci presenti sugli scaffali della GDO sono quelle che hanno vinto la competizione per la “distribuzione globale” grazie al fatto che vengono prodotte in grande quantità e che rispettano standard qualitativi e igienici minimi. Alle spalle hanno catene commerciali multinazionali che attraverso le più elementari regole di economie di scala hanno la facoltà di proporre prezzi sempre più bassi.
Ma l’abbattimento dei prezzi da cosa è determinato? E’ determinato naturalmente dalla produzione in aree geografiche favorevoli e con costi industriali e del lavoro notevolmente inferiori rispetto a quelli cui siamo abituati nel nostro mondo sviluppato. In virtù di questi fattori i maggiori costi di trasporto sono ampiamente ammortizzati, e di conseguenza i profitti delle compagnie sono grassi e sicuri. I
In termini spiccioli l’equazione economica è presto fatta: più il sistema produttivo e distributivo è grande più saranno grandi i profitti. In realtà i grandi profitti possono essere realizzati solo se alla base ci sono degli investimenti importanti, le Società multinazionali hanno bisogno di crediti a nove zeri  per mettere in moto una macchina industriale-commerciale complessa, che ha bisogno di uomini e mezzi per poter partire ed entrare a regime, per poi ripagare gli investitori e produrre profitto. L’accesso al credito diventa così il fattore propedeutico determinante per creare grandi ricchezze.
Infine il marketing ci convincerà che questi prodotti sono i più buoni e i più sani, controllati da decine di laboratori sparsi per il mondo, prodotti da bravi indigeni di chissà quale angolo sperduto del globo, che saranno stati felici di aver lavorato per creare quelle merci che poi solerti dipendenti dei vari uffici commerciali avranno fatto sì che arrivassero nelle nostre case. Tutto talmente bello da sembrare falso come il bacio di Giuda.
La verità che emerge scavando più a fondo è che i costi bassi di produzione, in un mercato mondiale stra-competitivo in tutti i settori, si possono realizzare solo con uno sfruttamento intenso delle risorse naturali e della forza lavoro, spesso in paesi dove non esiste legislazione che possa proteggere né le une che l’altro.
Sappiamo bene come le agricolture industriali, tanto per citare un esempio, abbiano creato devastazioni ecologiche, modificato paesaggi, eliminato definitivamente biodiversità, desertificato terreni concimati con misture chimiche che hanno permesso alte produttività. E siamo ben consci di come nel sud-est Asiatico le condizioni massacranti di lavoro di minori ed adulti in fabbriche fatiscenti permettano a noi di acquistare scarpe da ginnastica o giocare con palloni frutto di lavoro sottopagato e schiavizzante.
In un mondo che ha globalizzato i mercati ma che ha anche globalizzato l’informazione, in cui Internet permette di avere una finestra aperta su ogni angolo del globo, non possiamo più permetterci di far finta di non sapere.
Le informazioni sono alla portata di tutti, sta alle coscienze sviluppare un senso di responsabilità che determini una consapevolezza nelle scelte, piccole e grandi, che si compiono ogni giorno. E’ il concetto di responsabilità globale, per il quale cui ciascuno di noi, soprattutto nel mondo sviluppato, ha il diritto e il privilegio della conoscenza e di conseguenza deve anche sviluppare il dovere alla critica ed alle scelte consapevoli. Con la conoscenza nessuno di noi è più esente dal prendersi le proprie responsabilità, il potere che abbiamo come consumatori deve essere utilizzato per rendere il sistema più equo e sostenibile, e se tutto ciò determina una spesa maggiore per le nostre tasche, quella spesa sarà ampiamente ricompensata dalla certezza di avere migliorato le condizioni di vita di qualcuno o di avere contribuito alla salvaguardia dell’ambiente.
E’ così scopriamo che i destini del mondo in via di sviluppo e di quello sviluppato sono profondamente legati tra loro, il benessere di uno non potrà più avvenire a scapito dell’altro. Noi che ci troviamo dalla parte di chi consuma non potremo più guardare solo al nostro orticello, quel filo rosso che lega i produttori ai consumatori diventa un legame che unisce il benessere e la prosperità di tutti.
Ecco che si viene a creare una etica del consumo, un senso di responsabilità generato da questo rapporto biunivoco tra una scelta e la sua conseguenza, diretta o indiretta che sia. Sì perché in questo modo si accorcia anche la distanza tra la causa e l’effetto, e ne consegue che tutte le nostre scelte andranno ad impattare sulla vita degli altri, sempre più vicini a noi sia nello spazio che nel tempo.
E’ il concetto di responsabilità indiretta o allargata, in cui la causa e la conseguenza, che appaiono distanti e slegate, diventano improvvisamente strettamente legate tra loro.
Aggiornando quindi la nostra ottica capiamo che modificare i nostri stili di vita diventa doveroso se vogliamo che le condizioni di vita anche di chi è lontano da noi diventino più eque, che si realizzi il disegno di una giustizia sociale, che chiunque abbia gli stessi diritti e la stessa dignità, che il pianeta sia preservato e non sfruttato a scapito di chi non può scegliere. Lavorare per un mondo che livelli le disparità significa sperare in un mondo in cui i si possono diminuire i conflitti e le conseguenze che ne derivano.
Da parte loro le Istituzioni dovranno avere il compito di informare e promuovere i comportamenti virtuosi, di mettere a disposizione dei cittadini gli strumenti per poter scegliere, ma anche di punire chi in maniera riconosciuta determina un danno ad altri o all’ambiente. Le vere rivoluzioni hanno un seguito se e solo se si creano dalla base, per cui sarà la coscienza di ciascuno a spingere perché lì in alto, chi detiene la facoltà di pigiare sui bottoni del comando, sia illuminato nelle scelte legislative. Comportamenti imposti servono solo a creare contrasti e conseguenze opposte a quelle auspicate.
Il Mondo ha bisogno di ciascuno di noi, perché ciascuno di noi è parte attiva ed integrante di questo Mondo.
Credits ”Fareverde”

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