Ruggero
Maggi, protagonista del Padiglione dedicato alla “causa tibetana” alla Biennale
di Venezia, insieme ai coratini Oronzo Liuzzi, autore di una installazione, e
Alexander Larrarte, firma del testo critico
Dal 1 giugno al 7 settembre 2013, la
Chiesa di Santa Marta a Venezia ha ospitato il Padiglione Tibet, evento
parallelo della 55. Biennale d’Arte di Venezia, ed ha accolto diecimila
visitatori che, tra le tante opere, hanno potuto contemplare l'installazione di
Oronzo Liuzzi,ed essere guidati,
lungo il percorso espositivo, dal testo critico di Alexander Larrarte, entrambi coratini.
L’iniziativa, curata da Ruggero Maggi, con il
patrocinio del Comune di Venezia – Assessorato alle Politiche Giovanili Centro
Pace, presenta una scelta di artisti cui è stato chiesto di sottolineare
coralmente il profondo senso di spiritualità dell’universo tibetano e creare un
ponte sensibile che induca i visitatori a una maggiore conoscenza di questo
popolo che ormai si può definire una minoranza etnica che rischia di perdere il
proprio patrimonio culturale e spirituale fondato su concetti di pace e non
violenza. Anche quest'anno la Biennale è stata all’insegna della
trans-nazionalità e del multiculturalismo con più di ottantotto padiglioni . Oronzo Liuzzi ed Alexander Larrarte, due
coratini impegnati nel mondo dell’arte e della cultura, hanno partecipato alla
mostra dedicata al popolo tibetano, volta a sensibilizzare l’opinione pubblica
internazionale sulla poco nota vicenda tibetana.
Quella stessa repressione, dal 2009, ha
prodotto un martirio silente: “le autoimmolazioni”. Monaci e laici scelgono di
darsi la morte con il fuoco in segno di protesta contro l’occupazione e la
repressione cinese. Una morte atroce, nella speranza che il sacrificio delle
loro vite scuota l’indifferenza della comunità internazionale. Se Liuzzi ha
contribuito con un’installazione artistica, Larrarte ha redatto un testo
critico esposto nella “Sala della Lettura” del Padiglione e pubblicato sul catalogo
ufficiale della mostra. Sul significato dell’esposizione – che negli anni ha
raccolto gli elogi di intellettuali del calibro di Vittorio Sgarbi, Paolo
Baratta, Dario Fo e Gillo Dorfles – è Alexander Larrarte, con parole tratte dal
suo testo, a fare luce sull'obiettivo principale dell'esposizione. "Un padiglione per il Tibet offre la
possibilità di osservare, comprendere, di incamminarci su una strada di
scoperta e meditazione dove la velocità che acceca lascia spazio alla
riflessione che svela. A supporto della riflessione i MANDALA simbolo del cosmo
e delle diverse connessioni fra le sue forze vitali e le divinità. Ruggero
Maggi elabora un’ operazione in un ritmo binario tra ricerca artistica e
ricerca antropologica, l’opera prende forma dalle mani di artisti contemporanei
– linee guida – e conosce la sua conclusione con l’intervento dei monaci
tibetani – rituale-performance – confrontando in tal modo le differenti
ricerche artistiche in una contaminazione di forma e di idee. In un “battito
d’ali di farfalla” ci è dato modo di scoprire un mondo dove la produzione
artistica tibetana, all’infuori di quella prettamente funzionale, è ispirata
alla religione, vincolata all’icononometria, serve al culto, è un mezzo per
mettere in contatto l’uomo ai poteri divini… estrae l’anima". "La libertà di un popolo - prosegue
Larrarte - si misura dalla cosciente
volontà di difesa della propria cultura, della propria indipendenza, storia dei
padri e della propria “filosofia di vita” e se questa viene esercitata con le qualità
della libera espressione contro ogni forma di violenza è la parte più alta
dell’agire umano. Le idee non potranno mai esser represse, vivono e nessuna
forma di “tentata cancellazione” potrà mai esaurire la dirompete forza delle
idee".
Oronzo Liuzzi fotografa il Padiglione
come intreccio di «arte fra Oriente ed Occidente, che dà voce ad un popolo che
non aveva voce». La sua installazione raffigura un Mandala tibetano su carta,
integrato dall’uso della parola attraverso la scritta “Oronzo Liuzzi ama il
Tibet”. Una scelta che – spiega l’artista coratino – punta con un’espressione minimalista
dritta al messaggio: "Oronzo Liuzzi
possono essere tutti, può essere il nome e cognome di ognuno di noi, perché
ciascuno possa immedesimarsi in quell’Oronzo Liuzzi - continua l’autore -. Una scelta che cela il desiderio di un
dialogo interreligioso fra le diverse confessioni, come cristiano cattolico,
collaboro artisticamente con altre religioni". D'altronde, quella
religiosa è tradizionalmente considerata come una delle libertà fondamentali
dell’uomo. "Altri hanno lavorato sul
piano essenzialmente decorativo, io ho utilizzato la parola – commenta
Liuzzi – perché volevo che restasse il
concetto, cioè l’amore verso questo popolo che non riesce a emergere, per non
ricadere nell’indifferenza". E perché, poi, "il nostro sistema sociale non ha stomaco, ‘digerisce’ le notizie senza
metabolizzarle". Un messaggio “politico”, quello di Liuzzi, così come
dovrebbe essere l’arte. "Politica,
non partitica. Anche se, nell’ultimo periodo in Italia il valore politico
dell’arte sta svanendo, perché viene considerata solo ‘qualcosa di effimero’,
come isolata dal contesto".
“Last but not least”, come si suol dire,
le parole di Alexander Larrarte sul Tibet, pubblicate nel catalogo ufficiale
del Padiglione, il cui pensiero è sancito da Ruggiero Maggi: "Ho pensato che l'arte potesse offrire uno
straordinario mezzo per tentare di agevolare il processo di re-identificazione
geo-politica. La Biennale veneziana da sempre con il termine Padiglione
identifica uno Stato, una Nazione. I padiglioni nazionali rappresentano
orgogliosamente i propri paesi di appartenenza. Bene, io ho tentato - dichiara
Ruggiero Maggi - di applicare questo concetto al Tibet, anche se, ben
consapevole del fattore utopistico che una tale impresa comportava, ho anche
adattato una felice frase di Corona Perer, come sottotitolo del progetto:
‘Padiglione Tibet / il padiglione per un paese che non c'è’. E, aggiungo io, ci
dovrebbe essere». «Quando si parla di Tibet e, credetemi, se ne parla purtroppo
troppo poco, è sempre utile. Il Padiglione Tibet quest'anno - prosegue Ruggero
Maggi - è dedicato ai martiri tibetani, ormai più di 120, che si sono immolati
per la libertà del loro paese, per quella verità che lentamente, illuminata dal
loro fuoco purificatore, verrà alla luce, evidenziando al mondo lo stato di
estrema sofferenza di questo nobile ed antico popolo".

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