martedì 6 settembre 2011

L'alleanza storica tra mercato agricolo e finanziario: un modello per la crescita dell'economia pugliese

L’economia pugliese è una economia nella quale il settore terziario domina quello agricolo, quello agricolo domina il settore industriale e quello industriale domina il settore manifatturiero. In termini percentuali il settore terziario pesa per il 48,6%, l’agricoltura 23,3%, industria 12 %, le attività manifatturiere 9,1%, altro per il 6,9%.
Ovvero in sintesi terziario/agricoltura/industria/manifattura/altro. Ora noi dobbiamo dire che si tratta di una condizione abbastanza particolare, poiché in effetti il peso della agricoltura supera quello dell’industria e delle manifatture pure essendo la metà circa del terziario. Certo, noi sappiamo bene che il valore del terziario potrebbe essere in realtà assai superiore al 48,6% che viene indicato da Puglia In Cifre, poiché molte delle attività che si svolgono nel settore dei servizi non trovano adeguata rappresentazione contabile, e quindi non producono traccia statistica, per via della necessità di sottrarre valori reddituali alla imposizione  fiscale. Inoltre dobbiamo anche dire che pure l’agricoltura è probabilmente sottostimata poiché  vi sono ampie zone della Puglia nelle quali anche l’attività agricola si svolge senza controlli di carattere contabile, in mercati di ventura, privi di assicurazione sui prodotti venduti e di garanzie sui pagherò ceduti. Riteniamo invece essere abbastanza attendibile il settore relativo all’industria, poiché le imprese che operano in questo settore sono costrette a costituirsi in forma di società e dunque sono sottoposte alle obbligazioni contabili; un ultimo dubbio inoltre esprimiamo con riferimento alle manifatture, poiché come è ben noto, il territorio della Puglia non è certo stato liberato dal dramma della manifattura illegale, illecita e clandestina, che si accompagna alla immigrazione irregolare, alla circolazione dei capitali della mafia, e alla costruzione di gruppi di associazioni mafiose a carattere etnico sul territorio regionale. Quindi dal nostro punto di vista ci sembra che l’aggregato terziario+agricoltura+manifattura debba essere incrementato per potere esattamente rispecchiare quelle che sono le condizioni effettive della economia regionale. E certo ci fa specie che non si sia introdotto un osservatorio sulle economie mafiose, illecite e illegali, che in collaborazione con le forze di polizia e la magistratura, desse il senso della penetrazione economica e finanziaria dell’economia mafiosa, illegale o illecita.

L’ordinamento che così si viene a determinare (terziario/agricoltura/industria/manifattura/altro) costituisce una struttura gerarchica della nostra economia che si rispecchia effettivamente nella società pugliese e nella sua rappresentanza politica ed istituzionale.
Quello che tuttavia noi vogliamo mettere in evidenza è la possibilità di individuare alcune strategie che possano consentire, attraverso l’utilizzo della spesa pubblica regionale, di migliorare la struttura della produzione. Possiamo innanzitutto verificare come sostanzialmente il settore agricolo contrasti con tutti gli altri settori con riferimento alla capacità di innovazione tecnologica e finanziaria. Questo è un grande peso per l’economia regionale, e possiamo dire per il Mezzogiorno, poiché chi conosce, oltre le statistiche, la condizione di lavoro degli agricoltori e delle imprese agricole nelle campagne pugliesi, si rende conto che a parte qualche raro caso di imprenditore che ha deciso di investire in processi di macchinizzazione, tecnologia e internazionalizzazione, la maggior parte dell’economia agricola, come peraltro largamente verificabile dall’analisi dell’agro pugliese, si compone di agricoltori che non hanno esattamente gli animal spirits che dovrebbero caratterizzare un imprenditore. Ed in effetti vi sono molte difficoltà circa la possibilità di considerare l’imprenditore agricolo come un imprenditore commerciale a causa della normativa commerciale che ha esplicitamente creato degli steccati tra l’imprenditore agricolo e l’imprenditore commerciale, il primo non essendo sottoposto alla disciplina del fallimento e alla tenuta contabile dei conti. Quindi è evidente che si tratta di una classe di operatori economici, che pure detenendo l’amministrazione di una risorsa importante, quale quella della terra produttiva, e pure essendo intervenuta nel frattempo quella rivoluzione agricola che Gramsci tanto auspicava, non ha dimostrato di avere l’adeguato senso civile e progressista di migliorare, perfezionare e incrementare la produzione complessiva. Questa caratteristica degli agricoltori pugliesi è un costo enorme sulla economia regionale, poiché produce un sistema di comportamenti che influiscono direttamente, attraverso la metodologia con cui le banche trattano i loro risparmi e i loro investimenti, sulla economia regionale. L’agricoltore, il piccolo agricoltore, l’imprenditore agricolo, infatti, non investe, non fa innovazione, e il complesso delle risorse che guadagna a titolo di reddito vengono depositate in banca e queste poi successivamente danno origine ad una accumulazione sterile, che giustifica l’atteggiamento delle banche meridionali di essere prenditori di risorse dal Mezzogiorno e prestatori di risorse al Nord. Questo sempre perché gli imprenditori agricoli non hanno la capacità di novazione tecnologica, finanziaria e internazionale. Tuttavia il danno che essi arrecano all’economia regionale è maggiore rispetto alla quota della produzione che essi realizzano per via della sottrazione del risparmio improduttivo che viene utilizzato per incrementare il divario Nord-Sud. Inoltre è necessario sottolineare che molti di questi piccoli imprenditori e imprenditori agricoli, che sono tali molto spesso non per scelta, ma per l’avventura di avere ereditato proprietà immobiliari ad uso agricolo da generazioni di ascendenti cui è toccata la stessa sorte, non hanno alcuna capacità di fare una valutazione dei propri affari. E questa, si badi bene, non è solo la conseguenza della loro mancanza di preparazione imprenditoriale, ma è pure la conseguenza dell’ordinamento e delle leggi, poiché il non avere imposto all’imprenditore agricolo la ordinata tenuta contabile della situazione economica e finanziaria non ha consentito neanche agli ordini professionali a ciò preposti, ovvero l’unito ordine dei dottori commercialisti e ragionieri contabili, di sviluppare delle tecniche contabili per assegnare il valore ad un terreno, alle sue piante da frutto, al lavoro che è stato realizzato, alle macchine agricole che ivi siano presenti. E si faccia attenzione, perché senza dovere necessariamente richiamare alla mente la generosa opera intellettuale dell’economista Irving Fisher, il quale sostenne una volta che «Il valore di un frutteto dipende dal valore del suo raccolto e in questo rapporto di dipendenza è latente, implicitamente, il concetto stesso di tasso di interesse», dobbiamo sottolineare che la valutazione di  un fondo che sia stato acquistato poniamo, 50 anni fa, è una questione assai complicata, richiamando principi del calcolo attuariale, senza contare poi che tenendo una contabilità completa della struttura della produzione agricola anche il mercato finanziario e del credito, a mezzo delle banche e delle sue istituzioni, avrebbe migliore possibilità di accordare dei finanziamenti, e si avrebbe inoltre uno strumento ulteriore per inferire circa il trattamento e la tutela dei lavoratori nelle imprese agricole. Ovvero si tratta di un elemento di civiltà politica che introdurrebbe nella vita delle comunità agricole, che sono molte e sparse in Puglia, elementi di cultura economica e finanziaria che certo potrebbero valere più degli auspici del tempo e della meteorologia.
 Fonte : Questioni Meridionali

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