L’economia solidale è, prima di tutto, un atteggiamento da cui
derivano dei comportamenti che determinano un particolare stile di vita.
Non si tratta solo, infatti, di aderire alle formule (peraltro ancora
molto costose) del commercio equo solidale, ma anche, e soprattutto, di rivoluzionare le nostre abitudini
(consumeriste): l’economia solidale comprende anche il nostro modo di
lavare e lavarsi, ad esempio… ossia la quantità e la qualità di acqua,
sapone e detersivi che utilizziamo.
La
nostra società si basa su un flusso continuo di merci e prodotti, e per
questo viene definita consumistica. E, certamente, per cambiare le cose
occorre intervenire (interferire) su questi automatismi. Insomma, per
prima cosa, una bella cura dimagrante in fatto di consumo alimentare, tecnologico, culturale, ecc.
Partire, quindi, dalle
piccole cose, dalle routinarie attività quotidiane che, alla fin fine,
costituiscono, in termini di tempo d’esecuzione, una porzione molto
ampia di ogni nostra giornata. Limitare i consumi, specie
d’acqua, evitare gli sprechi, cooperare con gli altri, sostituire la
moda dell’ “usa e getta” con quella del recupero, utilizzare prodotti
ecocompatibili, utilizzare l’automobile solo in casi di estrema
necessità, impegnarsi a non inquinare, scambiare (tipo libri,
cd, attrezzi, ecc.) per evitare di acquistare, sono alcuni imperativi
per uno stile di vita un po’ più sobrio.
Zucchero equo-solidale |
Potremmo abbozzare una sorta di decalogo: compra leggero (ovvero prodotti con uno “zaino ecologico” non troppo pesante); compra durevole; compra semplice (in genere, gli oggetti più sofisticati sono meno durevoli, più delicati); compra vicino (per ridurre i danni ambientali che ogni trasporto comporta); compra sano; compra più giusto (e qui ci avviciniamo al discorso del commercio equo); compra prudente (a dispetto di normative e regolamentazioni, non è detto che il materiale acquistato non sia nocivo); compra sincero (evitare cioè i prodotti troppo pubblicizzati, dato che la pubblicità ce la paghiamo noi ed è spesso lontana dalla verità); compra mano d’opera (un metodo per aumentare l’occupazione); investi in futuro.
Abbiamo accennato al commercio equo-solidale. Ecco, essendo conosciuto oramai ai più, anche solo superficialmente, vorremmo soffermarci su alcune criticità e problematiche che lo riguardano.
Questo tipo di distribuzione è nato per far arrivare nelle nostre case
prodotti provenienti da Paesi lontani e del Sud mondiale nel rispetto
dei diritti dei lavoratori che li hanno realizzati, pagando loro un
compenso equo, a differenza, ad esempio, di molte multinazionali che
tendono a sfruttarli e a offrire loro la remunerazione minima.
Certo,
se si vuole alimentare questo meccanismo virtuoso ci si deve sforzare
ancora di più nella “cura dimagrante” cui abbiamo accennato.
Scordiamoci, infatti, tutti i prodotti non indispensabili, voluttuari,
accessori che ci divertiamo a saccheggiare a poco prezzo nei
supermercati: i prezzi del commercio equo sono ancora molto alti
(e forse sono destinati a rimanere tali) e la spesa in un bottega di
consumo critico diventa necessariamente selettiva. E questa sì che
rappresenta una grande sfida. In queste botteghe si trova ormai di
tutto. Ad esempio, proprio per garantire un corrispettivo dignitoso al
produttore locale, una T-shirt non si può acquistare a meno di 12 euro,
contro i 4 o 5 euro che potremmo spendere in un qualsiasi mercato
cittadino: l’opzione per la T-shirt non può che essere ideologica,
almeno in primis, dato che dovrebbe risultare di migliore qualità e
quindi più durevole.
Tuttavia, il commercio equo solidale, come tutte le pratiche umane pur
nate con buoni propositi, si presta anche a critiche negative, seppur
non come concetto in sé. Come testificato dalla recente proliferazione
delle botteghe solidali, anche in questo tipo di commercio, infatti, è
previsto un guadagno per il venditore finale e va da sé che, a fronte di
preventivi margini di guadagno, si possa rischiare di emulare
le pratiche speculative dei canali commerciali tradizionali. Come ha
anticipato il padre missionario Zanotelli, in una famosa
lettera di qualche tempo fa che ha suscitato molto clamore, permane il
rischio di tradire lo spirito e gli scopi originari con cui si è
inventato il commercio equo: la tutela dei piccoli produttori del Sud
contro lo sfruttamento imposto da multinazionali e grandi aziende.
Fonte : Affari Italiani
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