martedì 21 agosto 2012

L'economia solidale non va mai in crisi

L’economia solidale è, prima di tutto, un atteggiamento da cui derivano dei comportamenti che determinano un particolare stile di vita. Non si tratta solo, infatti, di aderire alle formule (peraltro ancora molto costose) del commercio equo solidale, ma anche, e soprattutto, di rivoluzionare le nostre abitudini (consumeriste): l’economia solidale comprende anche il nostro modo di lavare e lavarsi, ad esempio… ossia la quantità e la qualità di acqua, sapone e detersivi che utilizziamo.
Partire, quindi, dalle piccole cose, dalle routinarie attività quotidiane che, alla fin fine, costituiscono, in termini di tempo d’esecuzione, una porzione molto ampia di ogni nostra giornata. Limitare i consumi, specie d’acqua, evitare gli sprechi, cooperare con gli altri, sostituire la moda dell’ “usa e getta” con quella del recupero, utilizzare prodotti ecocompatibili, utilizzare l’automobile solo in casi di estrema necessità, impegnarsi a non inquinare, scambiare (tipo libri, cd, attrezzi, ecc.) per evitare di acquistare, sono alcuni imperativi per uno stile di vita un po’ più sobrio.

Zucchero equo-solidale
La nostra società si basa su un flusso continuo di merci e prodotti, e per questo viene definita consumistica. E, certamente, per cambiare le cose occorre intervenire (interferire) su questi automatismi. Insomma, per prima cosa, una bella cura dimagrante in fatto di consumo alimentare, tecnologico, culturale, ecc.
Potremmo abbozzare una sorta di decalogo: compra leggero (ovvero prodotti con uno “zaino ecologico” non troppo pesante); compra durevole; compra semplice (in genere, gli oggetti più sofisticati sono meno durevoli, più delicati); compra vicino (per ridurre i danni ambientali che ogni trasporto comporta); compra sano; compra più giusto (e qui ci avviciniamo al discorso del commercio equo); compra prudente (a dispetto di normative e regolamentazioni, non è detto che il materiale acquistato non sia nocivo); compra sincero (evitare cioè i prodotti troppo pubblicizzati, dato che la pubblicità ce la paghiamo noi ed è spesso lontana dalla verità); compra mano d’opera (un metodo per aumentare l’occupazione); investi in futuro.
Abbiamo accennato al commercio equo-solidale. Ecco, essendo conosciuto oramai ai più, anche solo superficialmente, vorremmo soffermarci su alcune criticità e problematiche che lo riguardano. Questo tipo di distribuzione è nato per far arrivare nelle nostre case prodotti provenienti da Paesi lontani e del Sud mondiale nel rispetto dei diritti dei lavoratori che li hanno realizzati, pagando loro un compenso equo, a differenza, ad esempio, di molte multinazionali che tendono a sfruttarli e a offrire loro la remunerazione minima.
Certo, se si vuole alimentare questo meccanismo virtuoso ci si deve sforzare ancora di più nella “cura dimagrante” cui abbiamo accennato. Scordiamoci, infatti, tutti i prodotti non indispensabili, voluttuari, accessori che ci divertiamo a saccheggiare a poco prezzo nei supermercati: i prezzi del commercio equo sono ancora molto alti (e forse sono destinati a rimanere tali) e la spesa in un bottega di consumo critico diventa necessariamente selettiva. E questa sì che rappresenta una grande sfida. In queste botteghe si trova ormai di tutto. Ad esempio, proprio per garantire un corrispettivo dignitoso al produttore locale, una T-shirt non si può acquistare a meno di 12 euro, contro i 4 o 5 euro che potremmo spendere in un qualsiasi mercato cittadino: l’opzione per la T-shirt non può che essere ideologica, almeno in primis, dato che dovrebbe risultare di migliore qualità e quindi più durevole.

 Tuttavia, il commercio equo solidale, come tutte le pratiche umane pur nate con buoni propositi, si presta anche a critiche negative, seppur non come concetto in sé. Come testificato dalla recente proliferazione delle botteghe solidali, anche in questo tipo di commercio, infatti, è previsto un guadagno per il venditore finale e va da sé che, a fronte di preventivi margini di guadagno, si possa rischiare di emulare le pratiche speculative dei canali commerciali tradizionali. Come ha anticipato il padre missionario Zanotelli, in una famosa lettera di qualche tempo fa che ha suscitato molto clamore, permane il rischio di tradire lo spirito e gli scopi originari con cui si è inventato il commercio equo: la tutela dei piccoli produttori del Sud contro lo sfruttamento imposto da multinazionali e grandi aziende.

Fonte : Affari Italiani

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