La data è quella del 6 Nissan 5772-29 marzo 2012. Il testo è firmato
dai membri della commissione bilaterale del Gran Rabbinato d'Israele e
della Santa Sede. Il tema è quello su cui abbiamo riflettuto
intensamente nei due giorni di lavori: "Religious perspectives on the
current financial crisis: vision for a just economic order - Prospettive
religiose sull'attuale crisi finanziaria: considerazioni per un giusto
ordine economico". Ad aiutare rabbini, vescovi e teologi della
commissione si sono aggiunti i contributi rilevanti di Ettore Gotti
Tedeschi, presidente dell'Istituto per le Opere di religione vaticano,
Meir Tamari, già consulente economico capo della Banca d'Israele, e
Stefano Zamagni, del dipartimento di Scienze economiche dell'Università
di Bologna. La convergenza delle conclusioni è significativa, perché
mostra come - in una prospettiva religiosa orientata al primato del bene
comune secondo il disegno del Dio Creatore e provvidente - l'azione
economica sia inscindibile dal primato dell'etica: non si supererà la
crisi senza una profonda svolta morale.
Afferma il testo: «Benché molti fattori abbiano contribuito a causare
la crisi finanziaria, alle sue radici sta una crisi di valori morali,
nella quale il primato del possedere, quale è espresso in una cultura
dell'avidità, ha oscurato il primato dell'essere; in tale situazione,
nell'attività economica è venuto a mancare gravemente il valore della
verità, praticata con onestà e trasparenza». Una grande menzogna -
avallata da forti agenzie di potere - ha fatto passare come equivalenti
l'economia virtuale della finanza e quella reale del lavoro e della
produzione, favorendo la speculazione più ardita: sta qui una delle
radici profonde della crisi economica in atto da ormai quattro anni, di
cui pagano i costi più pesanti soprattutto i piccoli risparmiatori e in
generale la povera gente.
Alla luce della fede condivisa nella «sovranità e nella provvidenza
del Creatore del mondo, dal quale ha origine ogni ricchezza donata
all'umanità», ebrei e cattolici condividono che «scopo dell'ordine
economico è di servire al benessere della società, affermando la dignità
umana di tutti, creati a immagine di Dio. Questo concetto della dignità
umana, che sostiene il valore di ciascuna persona, è opposto
all'egocentrismo, ed esige la promozione del benessere individuale in
relazione alla comunità e alla società, sottolineando perciò gli
obblighi e le responsabilità degli uomini, e quindi affermando la loro
solidarietà e fraternità. Ciò comporta il dovere di garantire la
soddisfazione dei bisogni umani fondamentali, quali la protezione della
vita, il sostentamento, il vestito, la casa, la salute, l'educazione e
il lavoro. Per questo motivo occorre riservare un'attenzione particolare
alle persone deboli - poveri, orfani, vedove, malati e disabili - e
agli stranieri, che nella società attuale sono specialmente presenti
come migranti e lavoratori esteri, le cui condizioni sono un segnale
della buona o cattiva salute morale della società e del grado di
solidarietà all'interno di questa".
Il richiamo al valore fondamentale della persona e ai conseguenti
principi di responsabilità etica nell'agire economico e di solidarietà
verso i deboli, si estende ai rapporti fra popoli e nazioni: «I Paesi
con economie sviluppate hanno l'obbligo, specialmente in quest'epoca di
globalizzazione, di riconoscere le loro responsabilità e i loro doveri
nei confronti dei Paesi e delle società che si trovano in condizioni
bisognose di aiuto». E questo alla luce di idee chiave dell'ethos
biblico, che il "grande Codice" delle culture ispirate dalla tradizione
ebraico-cristiana, illuminato dal Decalogo e dal Discorso della
montagna, propone all'umanità intera in vista di un più giusto ordine
economico: «La destinazione universale dei beni della terra, una cultura
del limite che implica un livello di autolimitazione e di sobrietà, uno
spirito di servizio responsabile, un sistema etico di distribuzione di
risorse e di priorità, l'importanza determinante dell'onestà, della
trasparenza, della gratuità e della responsabilità». Ne conseguono
indicazioni specifiche, che toccano il vissuto di milioni di esseri
umani e sono un implicito appello alle banche a fare la loro parte nel
superamento della crisi, nei cui confronti esse non sono certo esenti da
responsabilità: «Così come la crisi ha richiesto una parziale
remissione di debiti ai livelli nazionale e internazionale, altrettanto
occorre fare nei confronti delle famiglie e dei singoli individui, per
la loro riabilitazione economica».
Certamente, i credenti non possono limitarsi ad affermazioni di
principio: è chiesta loro una specifica e coraggiosa testimonianza, che
in tante forme non è mancata (si pensi solo alle esperienze di
micro-credito etico-sociale). Lo rileva il documento sottolineando «il
ruolo che le comunità di fede devono svolgere per contribuire a un
ordine economico responsabile, e l'importanza del loro impegno in questa
direzione presso governi, istituzioni educative e con gli strumenti di
comunicazione sociale. Le comunità religiose, oltre alla saggezza etica
tratta dai loro patrimoni spirituali, sono parte integrante della
società civile, che insieme con l'attività politica e sociale deve
svolgere un ruolo centrale nell'assicurare la sussidiarietà necessaria
per un giusto ordine sociale ed economico». Ognuno, insomma, deve fare
la sua parte se si vuole uscire dalla crisi, che «ha rivelato ancor più
la grave carenza di componente etica nel pensiero economico. Ne consegue
la necessità che istituti e accademie di studi economici e di
formazione socio-politica includano nei loro curricoli la formazione
etica, analogamente a ciò che in anni recenti si è fatto nel campo
dell'etica medica, e che consultazioni etiche siano anche previste in
rapporto alle decisioni che vengono prese a livello nazionale e
internazionale».
di Bruno Forte
Fonte : Il sole 24 Ore
tanto rumore per nulla
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