“È necessaria ed urgente una grande opera educativa e culturale, la
quale comprenda l’educazione dei consumatori ad un uso responsabile del
loro potere di scelta, E necessario adoperarsi per costruire stili di
vita, nei quali la ricerca del bello, del vero e del buono e la
comunione con gli altri uomini per una crescita comune siano gli
elementi che determinano le scelte dei consumi, dei risparmi e degli
investimenti (...). La scelta di investire in un luogo piuttosto che in
un altro, in un settore produttivo piuttosto che in un altro, è sempre
una. scelta morale e culturale” (Centesimus Annus, 36).
È significativo che Giovanni Paolo Il affrontando i grandi problemi
internazionali della globalizzazione, dello sviluppo e della pace, abbia
sentito il bisogno di ricordare che un reale cambiamento è possibile
solo con l’impegno di tutti e di ciascuno a mettere in discussione il
proprio stile di vita.
L’espressione “stile di vita" è frequentemente
utilizzata per riferirsi a ciò che caratterizza permanente ed in
profondità il modo di vivere di un soggetto. Non si improvvisa, non è
fatto di episodi. È lo specchio visibile di un ‘etica personale, di
un’antropologia. È la saldatura di tre elementi: una spiritualità (come
sorgente di senso), un’opzione fondamentale (come finalità che orienta),
una prassi quotidiana (come concretezza di azioni).
Oggi la Chiesa appare molto sensibile agli stili di
vita. Ad esempio nel 2001, all’incontro di Badin (Slovacchia) del
Consiglio delle 34 Conferenze episcopali d’Europa su “Stili di vita
cristiani e sviluppo sostenibilità, sono state indicate queste pratiche
umanizzanti: la Banca etica; il commercio
equo e solidale, i bilanci di giustizia, l’economia di comunione; l’uso
di fonti energetiche rinnovabili; la domenica come giornata di riposo.
Ma c’è ancora altro che vogliamo sottolineare. Più
che per il significato economico, la sobrietà è importante per il suo
significato antropologico. In effetti nella sobrietà si manifesta tutta
la “premura per l’altro" partendo appunto da un “io" consapevolmente
sobrio, un “io” che in questo modo si impegna a “condividere" e a
rispettare il “limite" rifiutando l’ebbrezza dei consumi, dell’accumulo e
del possesso.
Proprio perché la sobrietà comprende queste
importanti dimensioni culturali, antropologiche e politiche, non deve
essere banalizzata in una casistica del più e del meno. Il problema è
ben più profondo. Soprattutto come cristiani non è possibile rinunciare
al fondamento etico dell’agire economico. Ciò vale sia sul piano teorico
(ortodossia) che su quello concreto (ortoprassi): e deve ripercuotersi
nella vita personale, nelle scelte e nei comportamenti, cioè appunto
negli stili di vita.
Per costruire un mondo più equo e sostenibile, nel
tempo della globalizzazione, è necessario partire da se stessi, non
attendere l’arrivo di Godot, non delegare ad altri il cambiamento. A
nostro avviso la sobrietà è una virtù sociale che attende di essere
ancora esplorata in tutte le sue potenzialità di trasformazione.
Occorre partire dal basso, dalla cittadinanza attiva
dei soggetti, dalle scelte dei gruppi familiari e muoversi
progressivamente in un orizzonte di pedagogia dei gesti come strategia
dei comportamenti anche economici alternativi ponendosi obiettivi di
trasformazione che siano sempre più politici e strutturali.
Fonte : catholic
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