giovedì 5 luglio 2012

La sobrietà come stile di vita

“È necessaria ed urgente una grande opera educativa e culturale, la quale comprenda l’educazione dei consumatori ad un uso responsabile del loro potere di scelta, E necessario adoperarsi per costruire stili di vita, nei quali la ricerca del bello, del vero e del buono e la comunione con gli altri uomini per una crescita comune siano gli elementi che determinano le scelte dei consumi, dei risparmi e degli investimenti (...). La scelta di investire in un luogo piuttosto che in un altro, in un settore produttivo piuttosto che in un altro, è sempre una. scelta morale e culturale” (Centesimus Annus, 36).

È significativo che Giovanni Paolo Il affrontando i grandi problemi internazionali della globalizzazione, dello sviluppo e della pace, abbia sentito il bisogno di ricordare che un reale cambiamento è possibile solo con l’impegno di tutti e di ciascuno a mettere in discussione il proprio stile di vita.

L’espressione “stile di vita" è frequentemente utilizzata per riferirsi a ciò che caratterizza permanente ed in profondità il modo di vivere di un soggetto. Non si improvvisa, non è fatto di episodi. È lo specchio visibile di un ‘etica personale, di un’antropologia. È la saldatura di tre elementi: una spiritualità (come sorgente di senso), un’opzione fondamentale (come finalità che orienta), una prassi quotidiana (come concretezza di azioni).
Oggi la Chiesa appare molto sensibile agli stili di vita. Ad esempio nel 2001, all’incontro di Badin (Slovacchia) del Consiglio delle 34 Conferenze episcopali d’Europa su “Stili di vita cristiani e sviluppo sostenibilità, sono state indicate queste pratiche umanizzanti: la Banca etica; il commercio equo e solidale, i bilanci di giustizia, l’economia di comunione; l’uso di fonti energetiche rinnovabili; la domenica come giornata di riposo.
Ma c’è ancora altro che vogliamo sottolineare. Più che per il significato economico, la sobrietà è importante per il suo significato antropologico. In effetti nella sobrietà si manifesta tutta la “premura per l’altro" partendo appunto da un “io" consapevolmente sobrio, un “io” che in questo modo si impegna a “condividere" e a rispettare il “limite" rifiutando l’ebbrezza dei consumi, dell’accumulo e del possesso.
Proprio perché la sobrietà comprende queste importanti dimensioni culturali, antropologiche e politiche, non deve essere banalizzata in una casistica del più e del meno. Il problema è ben più profondo. Soprattutto come cristiani non è possibile rinunciare al fondamento etico dell’agire economico. Ciò vale sia sul piano teorico (ortodossia) che su quello concreto (ortoprassi): e deve ripercuotersi nella vita personale, nelle scelte e nei comportamenti, cioè appunto negli stili di vita.
Per costruire un mondo più equo e sostenibile, nel tempo della globalizzazione, è necessario partire da se stessi, non attendere l’arrivo di Godot, non delegare ad altri il cambiamento. A nostro avviso la sobrietà è una virtù sociale che attende di essere ancora esplorata in tutte le sue potenzialità di trasformazione.
Occorre partire dal basso, dalla cittadinanza attiva dei soggetti, dalle scelte dei gruppi familiari e muoversi progressivamente in un orizzonte di pedagogia dei gesti come strategia dei comportamenti anche economici alternativi ponendosi obiettivi di trasformazione che siano sempre più politici e strutturali.

Fonte :  catholic

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