Sono sempre più numerosi i siti Internet tramite i quali i consumatori
possono ordinare prodotti alimentari tipici e locali, venduti da aziende
agricole o piccoli produttori artigianali. L’articolo 123 della legge
388/2000 ha ammesso la vendita via Internet dei prodotti tipici che
richiedono metodi e attrezzature di lavorazione non rispondenti del
tutto alle prescrizioni igieniche di legge e alle norme HACCP. D’altra
parte, l’articolo 18 del decreto legislativo n.114/1998 ha semplificato
molto gli adempimenti per iniziare l’attività di vendita tramite
Internet. Se si tratta di prodotti non alimentari, basta inviare una
comunicazione al Comune di residenza specificando il settore
merceologico e allegando un’autocertificazione nella quale si dichiara
di essere in possesso dei requisiti, cioè di non essere falliti, di non
aver riportato una condanna con pena detentiva superiore a tre anni per
delitto non colposo, di non aver riportato una condanna per
ricettazione, riciclaggio, emissione di assegni a vuoto, insolvenza
fraudolenta, bancarotta fraudolenta, usura, rapina, sequestro di persona
a scopo di estorsione, frode in commercio, eccetera. Decorsi 30 giorni
dal ricevimento della comunicazione, si può iniziare l’attività se non
c’è stata risposta negativa, ma in genere questi adempimenti si svolgono
alla Camera di commercio, che ne informa il Comune.
Se si tratta di prodotti alimentari, è un po’ più complicato. L’autocertificazione riguarda anche l’assenza di condanne per alcuni reati alimentari, inoltre bisogna avere il “requisito professionale”: aver frequentato un corso istituito o riconosciuto dalla regione, oppure aver esercitato in proprio o in qualità di dipendente, per almeno due anni nell’ultimo quinquennio, l’attività di vendita di prodotti alimentari, oppure, ancora, essere stato iscritto al REC nell’ultimo quinquennio. Tuttavia, il ministero delle Attività Produttive ha precisato che non sono soggette a tutti questi adempimenti le attività di commercio elettronico “esercitate in maniera meramente occasionale”. Un altro modo per aggirare gli adempimenti è quello di far raccogliere le ordinazioni da un terzo (un amico), che riveste così la figura di “intermediario” e, a rigore, è tenuto soltanto all’iscrizione nell’elenco degli intermediari tenuto dalla Camera di commercio.
Comunque, una volta aperto il sito Internet, bisogna ricordarsi che il decreto legislativo n. 185/1999 prevede l’obbligo di informare i potenziali acquirenti sulla possibilità di restituire la merce entro 10 giorni dal ricevimento, a loro spese ma senza oneri o penali; la facoltà di ripensamento è tuttavia esclusa nel caso si tratti di prodotti alimentari deperibili. Per i pagamenti tramite carta di credito bisogna convenzionarsi con una banca specializzata. Non ci sono particolari problemi di “privacy” per chiedere tramite Internet nome, cognome e indirizzo dell’acquirente: trattandosi di un rapporto precontrattuale al quale gli interessati aderiscono volontariamente fornendo i loro dati, non è necessario il loro consenso al trattamento. Bisogna però inserire nel sito l’avvertenza che i dati forniti sono utilizzati esclusivamente ai fini del rapporto contrattuale, che non saranno oggetto di cessione a terzi e che verranno cancellati o modificati su richiesta degli interessati.
C’è poi la Direttiva europea n. 2000/31/CE che ha regolato il commercio elettronico. Essa stabilisce che il fornitore di beni o servizi via Internet deve dare preliminarmente al consumatore informazioni riguardanti le varie fasi tecniche di conclusione del contratto, i mezzi tecnici che consentono di correggere gli errori di inserimento dei dati prima dell’inoltro dell’ordine, oltre naturalmente al nome, all’indirizzo geografico ove il fornitore è stabilito, il numero di iscrizione al registro del commercio, eccetera. Inoltre, le condizioni generali del contratto devono essere messe a disposizione del consumatore in modo che questi possa memorizzarle e riprodurle. Restano impregiudicate, aggiunge la Direttiva, le disposizioni comunitarie sul diritto di recesso senza oneri o penali entro 10 giorni e quelle sull’inefficacia delle clausole abusive. Infine, quando il consumatore inoltra il proprio ordine mediante strumenti tecnologici, per esempio cliccando su un’icona di un sito, il fornitore deve dare comunicazione di ricevuta senza ritardo e per via elettronica, in modo tale che sia certo il momento della conclusione del contratto, anche ai fini della facoltà di recesso del consumatore. La Direttiva incoraggia infine sia l’elaborazione di codici di condotta dei fornitori sia l’istituzione di organismi di composizione extragiudiziale delle controversie con i consumatori.
Autore: Unione Nazionale Consumatori
Se si tratta di prodotti alimentari, è un po’ più complicato. L’autocertificazione riguarda anche l’assenza di condanne per alcuni reati alimentari, inoltre bisogna avere il “requisito professionale”: aver frequentato un corso istituito o riconosciuto dalla regione, oppure aver esercitato in proprio o in qualità di dipendente, per almeno due anni nell’ultimo quinquennio, l’attività di vendita di prodotti alimentari, oppure, ancora, essere stato iscritto al REC nell’ultimo quinquennio. Tuttavia, il ministero delle Attività Produttive ha precisato che non sono soggette a tutti questi adempimenti le attività di commercio elettronico “esercitate in maniera meramente occasionale”. Un altro modo per aggirare gli adempimenti è quello di far raccogliere le ordinazioni da un terzo (un amico), che riveste così la figura di “intermediario” e, a rigore, è tenuto soltanto all’iscrizione nell’elenco degli intermediari tenuto dalla Camera di commercio.
Comunque, una volta aperto il sito Internet, bisogna ricordarsi che il decreto legislativo n. 185/1999 prevede l’obbligo di informare i potenziali acquirenti sulla possibilità di restituire la merce entro 10 giorni dal ricevimento, a loro spese ma senza oneri o penali; la facoltà di ripensamento è tuttavia esclusa nel caso si tratti di prodotti alimentari deperibili. Per i pagamenti tramite carta di credito bisogna convenzionarsi con una banca specializzata. Non ci sono particolari problemi di “privacy” per chiedere tramite Internet nome, cognome e indirizzo dell’acquirente: trattandosi di un rapporto precontrattuale al quale gli interessati aderiscono volontariamente fornendo i loro dati, non è necessario il loro consenso al trattamento. Bisogna però inserire nel sito l’avvertenza che i dati forniti sono utilizzati esclusivamente ai fini del rapporto contrattuale, che non saranno oggetto di cessione a terzi e che verranno cancellati o modificati su richiesta degli interessati.
C’è poi la Direttiva europea n. 2000/31/CE che ha regolato il commercio elettronico. Essa stabilisce che il fornitore di beni o servizi via Internet deve dare preliminarmente al consumatore informazioni riguardanti le varie fasi tecniche di conclusione del contratto, i mezzi tecnici che consentono di correggere gli errori di inserimento dei dati prima dell’inoltro dell’ordine, oltre naturalmente al nome, all’indirizzo geografico ove il fornitore è stabilito, il numero di iscrizione al registro del commercio, eccetera. Inoltre, le condizioni generali del contratto devono essere messe a disposizione del consumatore in modo che questi possa memorizzarle e riprodurle. Restano impregiudicate, aggiunge la Direttiva, le disposizioni comunitarie sul diritto di recesso senza oneri o penali entro 10 giorni e quelle sull’inefficacia delle clausole abusive. Infine, quando il consumatore inoltra il proprio ordine mediante strumenti tecnologici, per esempio cliccando su un’icona di un sito, il fornitore deve dare comunicazione di ricevuta senza ritardo e per via elettronica, in modo tale che sia certo il momento della conclusione del contratto, anche ai fini della facoltà di recesso del consumatore. La Direttiva incoraggia infine sia l’elaborazione di codici di condotta dei fornitori sia l’istituzione di organismi di composizione extragiudiziale delle controversie con i consumatori.
Autore: Unione Nazionale Consumatori
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