
A quanto pare, ben 2,7
milioni di italiani si dedicano a quest’attività. Il
coltivatore medio vive nel nord Italia ed è un pensionato che coltiva il
suo
orto, in un terreno di proprietà, nei pressi della sua abitazione e lo
fa spesso conl'intenzione di voler consumare prodotti più sani e
genuini.
La
spiegazione non si ferma qui: molte persone hanno si dedicano a tale occupazione per motivi
edonistici, come la possibilità di stare all’aria aperta e di poter staccare
momentaneamente dai problemi quotidiani. Per altri l'orto rappresenta una vera
e propria tradizione di famiglia. C'è anche chi lo fa con
spirito altruistico, convinto di dare un contributo al
paesaggio circostante, alla biodiversità e, in minor misura, alla
tutela idrogeologica.
Una
minima parte dei terreni utilizzati (10,8%) possono essere definiti “orti
urbani” in quanto si trovano in un contesto cittadino. In questi casi
l’orto non produce solo verdure e ortaggi, ma può essere anche l’occasione per
recuperare delle zone urbane degradate, dando vita a delle esperienze molto
interessanti dal punto di vista sociale. Non si tratta di giardini
individuali, situati nel retro della propria abitazione, ma di terreni del demanio, spesso abbandonati, che grazie a cittadini
volenterosi, tornano a vivere.
Spesso diventando veri e propri punti d’incontro e di socializzazione. Tutto questo accade, ad esempio, a Torino con il “Progetto TOCC -
Torino città da coltivare" realizzato per promuovere gli orti
negli ex-quartieri dormitorio degli operai. Oppure a Napoli, dove uno degli orti
urbani comprende, oltre alla coltivazione di cavoli e finocchi,
anche un piccolo vigneto e alberi da frutta. Come fertilizzante si
utilizza il compost ottenuto dalla raccolta differenziata. In questo modo si
contribuisce anche alla diffusione di buone pratiche come il compostaggio e il
riciclo dei materiali.

Alessandro
Tarentini
Foto: Photos.com
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