Da qualche giorno si parla nuovamente dell’incremento dell’aliquota ordinaria IVA dal 21% al 22%, che il Governo Letta non sarebbe in procinto di scongiurare, poiché più impegnato a cercare le risorse per la copertura dei provvedimenti sul fronte IMU e CIG. Infatti la Legge n. 214/2011 ha previsto l’incremento di un punto percentuale con decorrenza 1 luglio 2013, dopo che già la Legge 148/2011 l’aveva portata da 20% a 21% nel settembre 2011. Gli effetti del nuovo incremento sono difficili da stimare, sia perché mancano i dati disaggregati necessari a calcolare spesa delle famiglie e gettito sui singoli beni soggetti a diverse aliquote, sia perché un’eventuale ulteriore contrazione dei consumi porterebbe a minore spesa e gettito. Tuttavia, con un certa approssimazione è possibile ipotizzare il maggior costo sopportato dalla famiglia media, in relazione alla variabile territoriale ed alla variabile reddituale.
La variazione di aliquota IVA interessa:
- alcuni prodotti alimentari, tra cui vino, birra, bibite
- tabacco e sigarette
- prodotti e servizi dell’industria culturale, come cd musicali e dvd (i libri hanno aliquota agevolata), e-books, cinema, teatro, concerti e spettacoli in genere
- prodotti per la casa e per l’igiene personale
- abbigliamento e tessili in generale, calzature, valigeria, orologeria e gioielleria, elettrodomestici, hi-fi e computers, telefonia, casalinghi, giocattoli, materiali edili (i servizi edili hanno aliquota agevolata)
- veicoli (auto, moto, ciclomotori e biciclette, natanti), carburanti, assicurazioni
- beni e servizi di interesse generale come energia elettrica, telecomunicazioni, gas (GPL, metano da riscaldamento, mentre la quota stimata per cottura ha aliquota agevolata), trasporti (tutti)
- servizi dei liberi professionisti (esclusi medici e prestazioni diagnostiche che godono di aliquota agevolata), servizi di artigiani come riparazione e manutenzione della casa, dell’auto ecc., servizi di parrucchiere, barbiere, istituti di bellezza, palestre.
E’ importante sottolineare che l’aumento dell’IVA peserà particolarmente in alcun settori in cui la spesa non è comprimibile (o lo è in misura limitata) e non è necessariamente proporzionata alle possibilità economiche della famiglia: trasporti, carburanti, assicurazioni auto, riparazioni auto e riparazioni domestiche, gas ad uso riscaldamento. Questo potrebbe determinare un aggravamento della condizione di molte famiglie attualmente sul filo del disagio economico e della povertà. Inoltre, alcuni settori produttivi come quello dell’auto e quello edilizio, già duramente colpiti dalla crisi, sembrano destinati a subire un’ulteriore contrazione del fatturato, con prevedibili ripercussioni dirette ed indirette sulle famiglie. Il precedente incremento di un punto percentuale dell’IVA ordinaria ha determinato un effetto inflazionistico pari allo 0,2-0,3 %, secondo l’Istat. Se si approfondisce questo risvolto, si appura che vi è un discreto differenziale nell’effetto inflazionistico sortito da quella variazione su diverse tipologie familiari, aventi diverso ammontare delle spesa mensile media e diversa composizione del paniere di spesa. Secondo il Rapporto Istat “La misura dell’inflazione per classi di spesa delle famiglie” uscito il 10 maggio 2013, “Nel complesso, tra il 2005 e il 2012, l’indice dei prezzi al consumo per le famiglie con la spesa media più bassa è aumentato del 20,2%, a fronte del +16,3% registrato per le famiglie con la spesa più alta e dl +17,5% dell’IPCA in generale”. E’ stato calcolato che l’indice armonizzato IPCA, per la sua composizione ponderata del paniere, corrisponde al 4° quintile di spesa familiare, ovvero rappresenta l’inflazione subita dalle famiglie con livello elevato di spesa e dunque presumibilmente di reddito (suddividendo le famiglie in 5 gruppi ugualmente numerosi, in base alla spesa media mensile, il primo quintile racchiude il 20% più “povero” e il quinto il 20% più “ricco”). Questo significa che, in generale, la misura ufficiale dell’inflazione non è molto rappresentativa della reale perdita di potere d’acquisto della maggior parte delle famiglie italiane.
La variazione di aliquota IVA interessa:
- alcuni prodotti alimentari, tra cui vino, birra, bibite
- tabacco e sigarette
- prodotti e servizi dell’industria culturale, come cd musicali e dvd (i libri hanno aliquota agevolata), e-books, cinema, teatro, concerti e spettacoli in genere
- prodotti per la casa e per l’igiene personale
- abbigliamento e tessili in generale, calzature, valigeria, orologeria e gioielleria, elettrodomestici, hi-fi e computers, telefonia, casalinghi, giocattoli, materiali edili (i servizi edili hanno aliquota agevolata)
- veicoli (auto, moto, ciclomotori e biciclette, natanti), carburanti, assicurazioni
- beni e servizi di interesse generale come energia elettrica, telecomunicazioni, gas (GPL, metano da riscaldamento, mentre la quota stimata per cottura ha aliquota agevolata), trasporti (tutti)
- servizi dei liberi professionisti (esclusi medici e prestazioni diagnostiche che godono di aliquota agevolata), servizi di artigiani come riparazione e manutenzione della casa, dell’auto ecc., servizi di parrucchiere, barbiere, istituti di bellezza, palestre.
E’ importante sottolineare che l’aumento dell’IVA peserà particolarmente in alcun settori in cui la spesa non è comprimibile (o lo è in misura limitata) e non è necessariamente proporzionata alle possibilità economiche della famiglia: trasporti, carburanti, assicurazioni auto, riparazioni auto e riparazioni domestiche, gas ad uso riscaldamento. Questo potrebbe determinare un aggravamento della condizione di molte famiglie attualmente sul filo del disagio economico e della povertà. Inoltre, alcuni settori produttivi come quello dell’auto e quello edilizio, già duramente colpiti dalla crisi, sembrano destinati a subire un’ulteriore contrazione del fatturato, con prevedibili ripercussioni dirette ed indirette sulle famiglie. Il precedente incremento di un punto percentuale dell’IVA ordinaria ha determinato un effetto inflazionistico pari allo 0,2-0,3 %, secondo l’Istat. Se si approfondisce questo risvolto, si appura che vi è un discreto differenziale nell’effetto inflazionistico sortito da quella variazione su diverse tipologie familiari, aventi diverso ammontare delle spesa mensile media e diversa composizione del paniere di spesa. Secondo il Rapporto Istat “La misura dell’inflazione per classi di spesa delle famiglie” uscito il 10 maggio 2013, “Nel complesso, tra il 2005 e il 2012, l’indice dei prezzi al consumo per le famiglie con la spesa media più bassa è aumentato del 20,2%, a fronte del +16,3% registrato per le famiglie con la spesa più alta e dl +17,5% dell’IPCA in generale”. E’ stato calcolato che l’indice armonizzato IPCA, per la sua composizione ponderata del paniere, corrisponde al 4° quintile di spesa familiare, ovvero rappresenta l’inflazione subita dalle famiglie con livello elevato di spesa e dunque presumibilmente di reddito (suddividendo le famiglie in 5 gruppi ugualmente numerosi, in base alla spesa media mensile, il primo quintile racchiude il 20% più “povero” e il quinto il 20% più “ricco”). Questo significa che, in generale, la misura ufficiale dell’inflazione non è molto rappresentativa della reale perdita di potere d’acquisto della maggior parte delle famiglie italiane.
Nessun commento:
Posta un commento